domenica 15 agosto 2010

.wordswithoutend.

Questa cosa che le parole non esprimano in modo adeguato le sensazioni, o che non possano rimandare a profondità abissali. Ci pensavo oggi. Che a un certo punto forse il silenzio è doveroso, e forse carico, inviolato e non sporcato da niente di troppo. Però. Forse la sintassi tradizionale incontra dei limiti, eppure ci sarà un motivo per cui a volte basta un accostamento di suoni, o una congiunzione sola per far vibrare tutto, per scuoterci, per cambiarci. Ci sarà un motivo per cui siamo tempestati da elementi fonetici, delle loro rappresentazioni grafiche, un motivo per cui continuiamo a leggere, a scrivere, a leggere poesie, a ascoltare canzoni, a cercare le parole, la parola, a ridurre il linguaggio all'osso senza rinunciare al suo residuo, alla traccia.
In modo tremendamente occidentale credo ancora che la parola abbia una sorta di primato, che sia davvero capace di creare mondi, che abbia un intrinseco potere di creazione. Che nominare sia un atto etico, e anche un atto d'amore.

4 commenti:

  1. C'è della magia nel nominare, c'è tutto un mondo che si apre che si manifesta, che è lì davanti a te nel momento in cui lo nomini. Sì forse è tutto (troppo) occidentale, forse è tutto troppo religioso (ebraico, per quel poco che so dell'ebraismo), forse abbiamo riempito le parole di senso. E allora svuotiamole le parole, decostruiamo i significati, non pensiamo ai significati, ma alle parole, a quando e come e dove le pronunciamo, alla vita che sta intorno alle parole, a noi stessi. E allora la magia non è nella parola (dentro? ma dentro dove?) la magia è (credo) nella vita che si porta con sé quella parola.

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  2. Nomina sunt rerum substantia

    o

    Nomina sunt consequentia rerum ?

    E' lì che casca l'asino.

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  3. Ich hab'es gelesen und gedacht: Überwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache !!!

    Luca

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